Premiere Grey’s Anatomy

Considerato tutto quello che è successo nella scorsa stagione (e mi riferisco a un evento in particolare che ha spezzato il cuore a tutti i fan), il pubblico non si aspettava poi molto da questa 12×01.

Succede spesso quando in una serie di successo si dice addio a un personaggio importante, che è stato presente fin dall’inizio e che per più di dieci anni ci ha accompagnati in questa avventura. 

La morte di Derek Sheperd ha segnato una svolta nella storia della serie, al punto tale che moltissimi fan sono arrivati a dire: “Senza di lui non sarà la stessa cosa, non so se guarderò la prossima stagione.”

In effetti, è giusto pensare che senza la presenza di Patrick Dempsey non sarà la stessa cosa, ma io ho preferito lasciare il beneficio del dubbio. In fondo, ho iniziato a seguire questa serie quando avevo circa 12 anni e sarebbe un peccato abbandonare qualcosa che mi ha accompagnata per tutta l’adolescenza. 

Nonostante l’assenza del Dottor Stranamore, la puntata è stata piacevole. Mi è piaciuta molto la storia delle due ragazze omosessuali e di come il loro amore fosse ostacolato dalle famiglie (una in particolare) che volevano renderle ciò che non erano. Mi è piaciuto il discorso sul bullismo che Maggie ha fatto in sala operatoria, quasi come se volesse in qualche modo accusare Alex e Callie. Mi è piaciuta anche la parte in cui Meredith, dopo aver litigato con Amelia per l’intera puntata, dice: “Non mi stai del tutto simpatica, ma va bene così perché sei di famiglia.”

Ma, più di tutto, mi è piaciuto il racconto di Alex. Lo abbiamo sempre visto come un ragazzo prepotente, il tipico bulletto che spinge i più deboli negli armadietti. Sapevamo che aveva una storia familiare complessa, ma chi avrebbe mai immaginato che Alex Karev fosse una vittima del bullismo? La sua storia mi è sembrata una bel modo per fare capire al pubblico che le vittime spesso trovano il coraggio di alzarsi e di dimostrare ai bulli che sono più forti di quanto avrebbero mai immaginato. 

E poi, giusto per uscire la romanticona che è in me, mi è piaciuto che Alex abbia condiviso questo dettaglio della sua infanzia con Jo. Nella scorsa stagione hanno affrontato alti e bassi, ma adesso le cose sembrano tornate alla normalità.

Forse, è stato un inizio di stagione un po’ piatto, ma dopo tutto ciò che è successo nella scorsa stagione non possiamo lamentarci. Anzi, una puntata “tranquilla” era proprio quello di cui avevamo bisogno. 

Premiere Scream Queens

Ecco la serie televisiva che è stata definite da tutti come la novità dell’anno. Ideata da Ryan Murphy (creatore di Glee e American Horror Story), racconta le vicende di un gruppo di studentesse perseguitate da un misterioso assassino. 

Il pilot si apre con una scena ambientata nel 1995. Mentre nel salone della KKT si sta svolgendo una festa, al piano superiore una delle ragazze della confraternita ha appena partorito. Le amiche accorrono da lei, per poi lasciarla sola poco dopo perché al piano di sotto sentono una canzone che non possono assolutamente perdersi. Al loro ritorno, la ragazza è morta. 

Vent’anni dopo, Chanel Oberlin è la presidentessa della KKT e si comporta come la classica ragazzina viziata che sa di poter ottenere tutto ciò che vuole (addirittura non conosce i nomi delle sue “amiche”, che lei chiama semplicemente Chanel #2, Chanel #3 e via dicendo). Il suo mondo perfetto, fatto di cose che sono solo ed esclusivamente come vuole lei, viene sconvolto quando il regolamento delle confraternite subisce una modifica e la obbliga ad accettare all’iniziazione qualsiasi ragazza voglia far parte della KKT. Chanel, anche se in disaccordo, si trova a condividere le giornate con altre ragazze che non sopporta e che non ritiene all’altezza di entrare nella sua confraternita. Improvvisamente, la vita delle ragazze viene sconvolta dall’arrivo di un misterioso assassino vestito da diavolo che prima uccide Chanel #2, poi Shondell (amica della guardia Denis, che avrebbe dovuto tenere al sicuro le ragazze) e poi Boone, uno dei ragazzi più popolari della scuola (anche se, in quest’ultimo caso, le cose non sono esattamente come sembrano).

Beh, che possiamo dire? 

Tanto per cominciare, sono rimasta stupita da quello che ho visto. Non so se in modo positivo o negativo, ma comunque stupita. 

Devo ammettere che, visto il titolo, mi aspettavo di vedere un thriller. Qualcosa che fosse un po’ sullo stile di Pretty Little Liars, o forse addirittura più “scary”. 

E invece, l’aggettivo “scary” lo userei lo stesso ma non con lo stesso significato. Fin dalle prime scene mi è sembrato di vedere la versione seriale di Scary Movie: personaggi e scene stereotipate e portate a livelli di comicità tale che non si può non ridere mentre il misterioso assassino uccide qualcuno.

Pensiamo a Denise che, dopo essere salita in macchina e aver visto l’amica Shondell morta sul sedile del passeggero, si mette a urlare: “Shondell, perché c’è un coltello nella tua gola?”

Oppure Chanel #2 che dialoga con l’assassino tramite sms e, invece di urlare, gli manda messaggi con scritto: “Ti prego, non uccidermi!” e con le sue ultime forze comunica la sua morte al mondo attraverso un tweet. 

Insomma, se pensate che questa serie fosse qualcosa di anche solo lontanamente simile a un horror, vi sbagliate di grosso! 

Ma forse, sta proprio qui il successo. Pensiamo a quanti incassi fa ogni film della saga di Scary Movie! Ognuno di noi ha visto almeno una scena di un qualsiasi Scary Movie nella sua vita e, anche se il genere non ci piace, non possiamo negare di non aver riso.

Scream Queens si pone gli stessi obiettivi: far ridere lo spettatore portando scene horror e drammatiche a livelli talmente estremi da farle diventare esilaranti. 

La premessa, per quanto mi riguarda, è buona.

L’unico neo è che, in quanto serie televisiva, a lungo andare potrebbe diventare noiosa.

Speriamo che Ryan Murphy non ci deluda!

Premiere Gotham, TBBT, Castle

Per molti fan affetti da “dipendenza da serie televisive” (come me, ovviamente), questa settimana ha segnato il ritorno di molte tra le serie più amate. È stata la settimana di The Big Bang Theory, di Grey’s Anatomy, di Modern Family, di Scandal… Molti fan hanno sicuramente iniziato la loro stagione televisiva prima di questa settimana (è il caso dei fan di Doctor Who, ad esempio) e altri inizieranno tra qualche giorno (pensiamo ai fan di Sleepy Hollow). 

Per quanto mi riguarda, la mia stagione è iniziata proprio questa settimana e quindi, arrivata a domenica credo sia il caso di fare un bilancio di queste prime premiere che ho avuto il piacere di vedere.

Andiamo in ordine:
Gotham:

Avevamo lasciato i nostri amici e nemici di Gotham City all’inizio di maggio, con una puntata ricca di colpi di scena: abbiamo visto Fish tornare a casa e mettere insieme un gruppo di criminali (in cui abbiamo visto anche Selina) e poi l’abbiamo vista finire giù da un tetto dopo uno scontro con il Pinguino; abbiamo sentito Barbara confessare a Leslie di essere stata lei a uccidere i suoi genitori; abbiamo assistito a una conversazione tra Jim Gordon e Falcone che, più che una conversazione tra poliziotto e boss mafioso, ricordava un classico momento padre-figlio; abbiamo visto il giovane Bruce scoprire una caverna segreta all’interno del proprio salotto. Insomma, era stato uno di quei finali che ti fa venire voglia di vedere la seconda stagione al più presto.

La 2×01 ha, almeno in parte, soddisfatto le mie aspettative. Devo ammettere di averci messo un po’ a capire per quale motivo Jim fosse stato declassato da detective ad agente e Bullock fosse finito a fare il barista, ma a parte un po’ di confusione iniziale è stato senza dubbio un buon episodio.

Il nostro caro Nygma è sempre più pazzo, diviso tra due personalità totalmente differenti e che quasi non riescono a convivere: da una parte c’è il perito della scientifica, sempre pronto a fare enigmi ai colleghi; dall’altra c’è lo psicopatico che nella scorsa stagione ha ucciso il fidanzato della donna che ama. E, ovviamente, sarà la parte più forte a prendere il sopravvento (e non c’è bisogno di uno spoiler da parte degli autori della seria per capire quale sarà).

Barbara, rinchiusa ad Arkham per l’omicidio dei genitori, sembra cavarsela benissimo e non ci mette molto a farsi degli amici (o meglio alleati), anche se il suo soggiorno nel manicomio dura ben poco. Ovviamente, siamo tutti curiosi di sapere quale sarà il suo destino!

Bruce ha trovato una stanza blindata all’interno della caverna e non sa come fare ad aprirla perché, ovviamente, non ha la password. Fa un po’ di tentativi ma, non riuscendo a indovinarla, decide di far esplodere la porta. Ecco, perdonatemi se ho trovato questa parte incredibilmente stupida. Quale persona sana di mente farebbe esplodere una bomba in casa propria? Ma soprattutto, a quale figlio non verrebbe in mente di provare a inserire il proprio nome come password? Comunque sia, alla fine Bruce riesce ad entrare e trova una lettera di suo padre in cui si capisce che i suoi genitori erano coinvolti in qualcosa di estremamente pericoloso. La domanda è cosa?

Speriamo di non dover aspettare troppo per rispondere a questa domanda.
The Big Bang Theory:

La scorsa stagione era letteralmente finita in tragedia: avevamo lasciato Leonard e Penny in macchina, diretti a Las Vegas per sposarsi, alle prese con una discussione che sembrava aver incrinato le cose tra loro, e Sheldon che fissava sconsolato un anello di fidanzamento, dopo essere stato lasciato da Amy.

I fan, ovviamente hanno sperato fino all’ultimo momento che, con l’arrivo della 9×01, arrivassero anche le buone notizie. Il promo ci aveva fatto ben sperare (almeno per quanto riguarda Leonard e Penny), ma alla fine siamo rimasti tutti un po’ delusi.

La prima cosa che ho pensato dopo aver finito di vedere la puntata è stata: ma non dovrebbe essere una comedy? E la domanda deriva dal fatto che la puntata è stata di una tristezza infinita!

Partiamo da Sheldon e Amy. Nessuno si aspettava che i loro problemi si risolvessero nel primo episodio e quindi, in questo caso, non ci siamo rimasti poi così male nel vedere che Amy sembra proprio non volerne sapere di tornare con Sheldon. Diciamo che ce lo aspettavamo! Questo, però, non vuol dire che il pubblico sia rimasto contento di questa decisione. 

Ma quelli che più di tutti lasciano sconvolti sono Leonard e Penny. I due arrivano a Las Vegas, decidono di lasciarsi alle spalle la discussione avuto in auto e si sposano. Sembra tutto perfetto fino al loro arrivo in camera, quando Penny riapre la discussione di poco prima dicendo che non riesce a ignorare il fatto che Leonard abbia baciato una ragazza mentre era a lavora nel Mare del Nord e, soprattutto, non le va giù il fatto che i due si vedano ancora e che lui non le abbia mai detto niente. Risultato: Leonard e Penny tornano a Pasadena e passano la prima notte di nozze nei rispettivi appartamenti. 

Escludiamo il fatto che io reputi un po’ idiota il comportamento di Penny. Certo, Leonard ha sbagliato a non parlargliene prima ma è davvero il caso di buttare all’aria un matrimonio per un bacio avvenuto quando loro non stavano nemmeno insieme? 

L’unica nota positiva dell’episodio è stata la battuta finale di Sheldon che, alla frase di Leonard: “Non avrei mai pensato di trascorrere la mia prima notte di nozze con te”, risponde: “Davvero? Io non la immaginavo diversamente.” (o qualcosa del genere, premetto che non ricordo le parole esatte.)

Beh, l’unica cosa che possiamo fare è aspettare i prossimi episodi e sperare in un po’ più di comedy e un po’ meno drama!
Castle:

Finalmente un inizio di stagione che ha soddisfatto le mie aspettative! 

La scorsa stagione ci aveva lasciato un po’ con l’amaro in bocca: era iniziata con il ritrovamento di Castle, il quale non ricordava nulla dei due mesi di assenza; in parecchie puntata sembrava che fossimo vicini a svelare il mistero della sua scomparsa, ma ogni volta la soluzione del caso sfuggiva via come fumo tra le dita. Nonostante non si sappia ancora cos’è successo al protagonista nel periodo tra la fine della sesta e l’inizio della settimana stagione, il finale ci aveva lasciati con un sorriso sulle labbra: Beckett aveva vinto il concorso per diventare capitano e, nell’ultima scena, abbiamo visto Castle ritirare un prestigioso premio letterario e festeggiare insieme ad amici e parenti. Il brindisi finale e lo sguardo incerto di Kate verso il bicchiere, ci avevano addirittura fatto pensare che lei fosse incinta. Insomma, uno di quei finali in cui è quasi impossibile non commuoversi.

Ecco perché, dopo un finale che non mi aveva lasciato un minimo di suspense, non avevo grandi aspettative per l’inizio della nuova stagione. Ma questa volta, è proprio il caso di dirlo, Castle è ricominciato col botto. 

La puntata inizia con Castle e Beckett che festeggiano la nomina di capitano e lui le regala un braccialetto sul quale è incisa la parola “always”, quella magica parolina che ha accompagnato i Caskett fin dall’ultima puntata della quarta stagione. Sembra andare tutto per il meglio, fino a quando Castle trova il braccialetto di Kate su una scena del crimine. La donna non risponde al cellulare e tutti iniziano ad allarmarsi. Nessuno ha idea di quali siano in guai in cui si è cacciata Beckett, l’unica cosa certa è che l’appuntamento che aveva detto di avere per quella mattina non è mai esistito. 

A un certo punto dell’episodio, vediamo Kate riapparire magicamente ma giusto per il tempo necessario a salvare Castle che, cercandola, si è messo nei guai.

L’episodio finisce con una schermata nera su cui appare la scritta “to be continued…” e il pubblico non può fare altro che chiedersi: “Che stai combinando, Beckett?”

Speriamo che i prossimi episodi siano all’altezza della premiere! 

Miss Italia 2015

Secondo voi, in qualità di femminista convinta, potevo evitare di fare un commento su questa nuova Miss Italia? Ovviamente no! 

Sarò breve, lo prometto.

Premettiamo che non ho seguito Miss Italia e mai lo seguirò perché è uno di quei programmi che non mi è mai piaciuto. Ma quest’anno hanno toccato il fondo. 

Io ho sempre pensato che fosse stupido mettere in mostra delle ragazze in quel modo e giudicarle solo in base alla loro bellezza (come se fossero oggetti) e mi sono sempre sentita rispondere che il giudizio non viene dato solo in base a quello, ma anche in base alle qualità intellettive. Va bene, mi sono detta, evidentemente non posso parlare visto che non seguo il programma. 

Ora però vengo a sapere che la Miss di quest’anno ha detto che le sarebbe piaciuto vivere nel 1942 per poter vivere la guerra mondiale e che tanto, in quanto donna, non avrebbe dovuto fare il servizio militare. 

Cioè, questa ragazza ha vinto? Meno male che si giudicano anche le capacità intellettive eh! 

Questa dovrebbe essere colei che rappresenta tutte le donne italiane e io riesco a pensare solo che mi vergogno di essere rappresentata da una così. 

Pretty Little Liars 6×10

  
L’11 agosto 2015 è andata in onda negli USA il finale di metà stagione di Pretty Little Liars. 

Sì, sono un po’ in ritardo, avete ragione… Ma non potevo rischiare di fare spoiler questa volta! 

Fin dalla prima puntata, gli spettatori si sono chiesti chi fosse A, il personaggio misterioso che fin dall’inizio ha perseguitato le protagoniste. Alla fine della seconda stagione, il pubblico era stato accontentato con una rivelazione: Mona era la tanto temuta A. 

Ma all’inizio della terza stagione A è tornata e con lei (o lui, visto che fino alla fine si è pensato alla possibilità che A fosse un maschio) sono tornati anche i dubbi sulla sua identità. 

Di teorie e congetture ne sono state fatte tante: c’era chi pensava che fosse Melissa, chi pensava che fosse Wren… Addirittura era stata fatta una teoria secondo cui dietro al mistero di A ci fosse Aria. 

Insomma, ognuno aveva un’idea diversa. L’unica cosa su cui tutti eravamo d’accordo era che Sarah Harvey nascondeva qualcosa, ma sapevamo anche delle dichiarazioni di Marlene King (autrice della serie tv) che A era qualcuno che il pubblico aveva visto sullo schermo fin dall’inizio, mentre invece Sarah è apparsa per la prima volta nell’ultimo episodio della quinta stagione. 

Per le prime nove puntate della sesta stagione non abbiamo fatto altro che cercare dettagli che potessero far intuire la vera identità di A e niente faceva pensare che A fosse…………….. (Rullo di tamburi) 

Cece Drake! 

Alla fine della quinta stagione, grazie una brillante intuizione di Spencer (che quando non si droga sembra essere l’unica che ragiona nel gruppo), avevamo capito che il vero nome di A era Charles e che era il fratello maggiore di Alison e Jason. Con una rivelazione del genere chi mai avrebbe pensato a Cece? 

Forse anche per questo parte del pubblico è rimasta delusa dalla rivelazione. 

Senza dubbio vedere la faccia di Cece sotto il cappuccio nero di A è stata una sorpresa e la storia che ha raccontato (gli anni passati a Radley, il cambio di sesso, i tentativo di avvicinarsi alla famiglia) aveva un senso. 

Ciò che non è piaciuto al pubblico sono stati i mille buchi neri la trama! Ovviamente mille è un numero indicativo, ma non penso che si discosti molto dalla realtà. 

Elenchiamone qualcuno…

1) L’omicidio di Marion Cavanaugh: questo è sicuramente il tasto più dolente. Per prima cosa non capisco per quale motivo hanno stressato il pubblico con sta storia per anni facendoci pensare che dietro ci fosse chissà quale mistero, e poi hanno liquidato tutto facendoci vedere semplicemente Bethany Young che la spinge di sotto, apparentemente senza motivo! Senza contare l’anacronismo grosso quanto una casa: quando Marion muore, Charles ha circa 12 anni e quindi Allison dovrebbe essere più piccola, ma in un flashback di parecchie puntate prima vediamo Marion entrare in camera mentre Toby e Alison (entrambi adolescenti) stanno per baciarsi. Marlene King ha giustificato la cosa dicendo che essendo un flashback è normale che i personaggi fossero interpretati da Keegan Allen e Sasha Pieterse, ma che all’epoca dei fatti Toby e Alison erano solo dei bambini. Diciamolo chiaro, Marlene ci vuole prendere per il culo. Se davvero all’epoca dei fatti erano dei bambini, mi risulta un po’ difficile credere che una Alison di 9 anni chiedesse a Toby se aveva intenzione di baciarla con voce sensuale.  

2) Sarah Harvey è Red Coat e la Vedova Nera: a essere sincera l’idea non mi dispiace. In fondo abbiamo sempre pensato che Sarah nascondesse qualcosa, anche se tutti pensavamo che la Vedova Nera e Red Coat fossero due persone diverse. Ma il punto è un altro: come ha fatto Sarah Harvey a conoscere Cece Drake? E cosa l’ha spinta a lavorare per lei? Ovviamente non abbiamo trovato risposta a queste domande.

3) La morte di Bethany Young: il personaggio di Bethany è stato al centro di numerose discussioni fin da quando si è scoperto che il corpo nella bara era il suo e non quello di Alison. Anche in questa puntata, ha avuto un ruolo relativamente importante perché abbiamo scoperto che non solo ha ucciso la madre di Toby, ma ha anche accusato Charles di essere il vero assassino. Eppure, nonostante la sua importanza, la morte di questo personaggio viene liquidata con un brevissimo racconto di Mona nel quale racconta di aver ucciso Bethany perché l’aveva scambiato per Alison. Tutto qui? 

E questi erano solo degli esempi, ci sono molte altre domande senza risposta su cui i fan della serie continuano a interrogarsi. A questo punto possiamo solo sperare che queste domande trovino risposta nella seconda parte della stagione (in onda a gennaio), anche se personalmente dubito visto che nell’ultima scena della 6 × 10 abbiamo visto le ragazze che cinque anni dopo parlano della presenza di un nuovo “cattivo”, lasciando presumere che il capitolo A sia chiuso. 

Bè, non ci resta che aspettare l’anno nuovo! 

Into the woods

 
Quando ho deciso di andare a vedere questo film, non sapevo di preciso cosa aspettarmi. Il trailer promette bene, il cast vanta grandi nomi come Meryl Streep e Emily Blunt e il regista è Rob Marshall. E poi, è un musical e io amo i musical. Allo stesso tempo, però, avevo sentito parecchi pareri negativi. Così sono arrivata al cinema senza aspettative, solo con l’intenzione di godermi il film. 

Il film non è altro che la trasposizione cinematografica dell’omonimo musical, scritto da Stephen Sondheim, e racconta la storia di un fornaio e di sua moglie che, per spezzare la maledizione che una strega lanciò su di loro anni prima, devono andare nel bosco e procurarsi quattro differenti elementi: una mucca bianca appartenente a Jack (il protagonista del racconto popolare inglese “Jack e il fagiolo magico”), il mantello di Cappuccetto Rosso, la scarpetta d’oro di Cenerentola e i capelli biondi di Raperonzolo. Queste storie si intrecciano l’una con l’altra, tra canzoni e battute. 

Partiamo dagli aspetti positivi.

Punto uno: il cast. Molti degli attori mi erano del tutto estranei e ammetto di non apprezzare particolarmente la recitazione di Anna Kendrick (le sue interpretazioni in nella saga di Twilight e in Cosa Aspettarsi Quando Si Aspetta, non mi sono piaciute per niente), però complessivamente è un buon cast. 

Meryl Streep era fantastica (come sempre, del resto) e credo di non aver mai visto una strega interpretata meglio. 

Emily Blunt è stata molto brava a interpretare un personaggio che, secondo me, pur essendo all’apparenza un personaggio molto semplice, in realtà era abbastanza complesso: passava dall’essere una moglie innamorata e una madre amorevole, all’essere un’adultera che si fa prendere dai sensi di colpa. 

Johnny Depp, nonostante interpretasse una piccola parte, ha dimostrato per l’ennesima volta di essere un attore versatile in grado di interpretare qualsiasi ruolo. 

Sono rimasta colpita anche da Chris Pine. L’avevo visto recitare solo in Baciati dalla sfortuna, dove interpretava un ragazzo sfigato ma romantico è affascinante, e sono rimasta piacevolmente sorpresa nel vederlo interpretare un Prince Charming che è tutto tranne che charming

Punto due: i numeri musicali.

Personalmente, non ce n’è stato uno che non mi sia piaciuto. Uno dei migliori è stato senza dubbio “Hello, little girl”, cantata da Cappuccetto Rosso e il Lupo, dove Johnny Depp dimostra ancora una volta il suo grande talento come cantante. 

Punto tre: tiene conto delle fiabe originali, in particolare Cenerentola. È la prima volta che mi capita di vedere le sorellastre dì Cenerentola tagliarsi i piedi per poter calzare la scarpetta o diventare cieche a causa di un attacco da parte degli uccellini, come succede nella fiaba originale.

Ma non è tutto oro quello che luccica. 

Personalmente, non ho apprezzato il fatto che il principe abbia tradito Cenerentola. Se da un lato questa scena mi fa notare quanto una fiaba possa essere vicina alla realtà, dall’altro lato mi infastidisce per lo stesso motivo. Le fiabe ci piacciono proprio perché ci fanno evadere dalla realtà, e in questo caso non è stato così. 

Sommando aspetti positivi e negativi, il mio giudizio è buono. 

Voto: 7,5. 

The Normal Heart

  

È difficile capire da dove iniziare a scrivere questo post, un po’ perché ci sarebbero tantissime cose da dire, ma soprattutto perché non si può evitare di sentirsi svuotati (e quindi senza parole) dopo aver visto questo film. 

The Normal Heart, diretto da Ryan Murphy e basato su soggetto e sceneggiatura del drammaturgo Larry Kramer, racconta una storia di speranza e di lotta; racconta la storia di chi non ha voluto arrendersi di fronte a ciò che per anni è stato chiamato il “cancro dei gay” e di chi non ha avuto paura di lottare per cercare una cura a ciò che oggi conosciamo con il nome di AIDS. 

Ogni giorno, circa 6000 persone vengono infettate dal virus HIV. È una cifra che fa paura anche solo a pensarla. Ma ciò che mi inorridisce di più è vedere come il mondo ha gestito questa malattia quando l’ha scoperta. 

Ammetto di non saperne molto su questo argomento: non conosco nei dettagli come è avvenuta la scoperta della malattia, non conosco bene i sintomi, non conosco le percentuali di contagio nella popolazione omosessuale o in quella eterosessuale. E sapete perché sono così ignorante su queste cose? Perché, nonostante sia il 2015, non se ne parla abbastanza. 

Contando le scuole elementari, medie, superiori e l’università, sapete quante volte ho sentito affrontare l’argomento? Tre. Una volta alle medie, due volte alle superiori. 

Dico questo per farvi capire che ovviamente non sono la persona più adatta a parlarne, ma nonostante questo decido di farlo perché questo film mi è entrato dentro e si è preso un pezzetto del mio cuore. 

Potrei parlare della fantastica interpretazione di Matt Bomer o di Mark Ruffalo, ma sarebbe troppo ovvio soffermarmi su questo. 

Invece vorrei parlare di Tommy, il personaggio interpretato da Jim Parsons. Inizialmente, ho pensato che il suo fosse un personaggio marginale, forse perché nelle prime due scene in cui è apparso ha detto a malapena due battute. Forse, se paragonato a Ned e Felix (i personaggi interpretati da Mark Ruffalo e Matt Bomer), è davvero un personaggio marginale. Ma è un personaggio che ti si attacca addosso. Probabilmente è solo una mia opinione perché, in quanto fan di The Big Bang Theory (e in particolare di Sheldon Cooper), mi sono concentrata più su Jim Parsons che sugli altri attori e quindi ho notato molto di più la sua interpretazione che le altre, ma il suo personaggio mi ha davvero colpita. In particolare, ho trovato molto toccante la scena in cui Tommy parla durante il funerale di un amico. 

“Odio questi fottuti funerali, davvero. E sapete cos’altro odio? Le commemorazioni. È questa la nostra vita sociale, adesso. Partecipare a queste cose” dice Tommy, mentre lancia una triste occhiata alla bara dell’amico. È una scelta di parole piuttosto intelligente; un modo sottile di far notare quanto fosse elevato il numero di morti di AIDS. 

Subito dopo dice: “Perché non ci aiutano? La risposta è semplice: non gli piacciamo”, un altro modo più o meno sottile di esprimere il disprezzo che la gente provava per gli omosessuali. E l’unica cosa a cui riesco a pensare è: perché? Non voglio soffermarmi troppo, dato che ho già affrontato l’argomento nel post su The Imitation Game, ma non riesco a pensare ad altro se non a questa domanda. Mi domando perché un essere umano sia spaventato da qualcosa come l’omosessualità e non riesco proprio a darmi una risposta. Forse, questa risposta non è riuscito a darsela nemmeno Larry Kramer ed è per questo che nel film ha inserito la storia di Emma (la dottoressa interpretata da Julia Roberts). O forse, la storia della dottoressa è stata una scelta casuale. 

A me piace pensare che non sia così. Credo che la disabilità di Emma venga messa a confronto con l’omosessualità di Ned, di Felix e degli altri protagonisti perché negli anni ’80 c’era davvero chi pensava che l’omosessualità fosse una malattia. 

Emma racconta di come, quando era piccola, gli altri bambini fossero terrorizzati da lei. La guardavano con la paura negli occhi solo perché per muoversi usava una sedia a rotelle. La stessa paura che sembra di vedere negli occhi del fratello di Ned (interpretato da Alfred Molina) mentre dice a suo fratello che non sono uguali proprio a causa della sua omosessualità. 

Ricordo che agli Emmy Awards 2014, The Normal Heart era in nomination nella categoria “miglior film TV”, la stessa categoria in cui c’era Killing Kennedy. Io tifavo per Killing Kennedy, un po’ perché avevo appena finito di leggere 22/11/’63 di Stephen King e un po’ perché Jackie Kennedy era interpretata da Ginnifer Goodwin, e rimasi delusa quando vinse The Normal Heart. Ma adesso, dopo aver visto The Normal Heart, devo ricredermi. 

Complessivamente, credo sia un gran bel film. Solitamente ho sempre qualche critica da fare sui film che vedo, ma non questa volta. 

Voto: 10. 

The Imitation Game: un film che insegna l’importanza di essere diversi

 

 “Un uomo normale non ce l’avrebbe mai fatta.” 

È con questa frase che voglio iniziare a parlare di questo film. Joan Clarke, il personaggio interpretato da Keira Knightley, dice queste parole ad Alan Turing (interpretato da Benedict Cumberbatch) alla fine del film, ed è su questo pensiero che si basa l’intera storia. 

The Imitation Game, film diretto da Morten Tyldum, racconta la storia di Alan Turing, un matematico inglese, che durante la Seconda Guerra Mondiale lavorò per il governo con lo scopo di decriptare dei codici segreti nazisti, codificati con la macchina Enigma. 

Il film è un susseguirsi di flashback e flashforward che ci portano avanti e indietro nel tempo, dandoci modo di capire come iniziò la passione di Alan per la crittografia, facendoci vedere il lavoro che lui e i suoi colleghi compirono su Enigma, e svelandoci la piega che prese la vita di questa mente brillante dopo la fine della guerra. 

Ci sarebbero tante cose da dire su questo film, ma sono certa che internet pullula di recensioni scritte sicuramente meglio di questo articolo, perciò preferisco tirare fuori la sentimentale che c’è in me e concentrarmi sui punti che io considero degni di nota. 

La prima cosa che voglio affrontare è il rapporto che lega Alan e Joan. Tra loro scatta subito qualcosa di “magico”, fin dal momento in cui Joan impressiona tutti finendo il test con largo anticipo. 

Alan è una persona fuori dal comune, questo lo capiamo fin dalle prime scene del film, e Joan sembra essere l’unica in grado di capirlo davvero, l’unica in grado di andare oltre le sue piccole stranezze e vedere la mente geniale che c’è dietro. In fin dei conti, non è poi così strano che Alan le chieda di sposarlo nonostante non sia interessato a lei (almeno non nel senso romantico del termine). Joan, d’altro canto, accetta nonostante abbia dei dubbi sull’orientamento sessuale di Alan e, quando lui le confessa di essere omosessuale, lei si mostra indifferente e gli fa notare che, per quanto strano, il loro matrimonio sarebbe molto più felice di molti altri. 

Io ci credo. Credo davvero che, se si fossero sposati, sarebbero stati felici. Mi piace pensare che sarebbero stati in grado di sostenersi a vicenda, esattamente come dovrebbero fare un marito e una moglie. Sarebbe stato un tipo diverso di amore, ma pur sempre amore. 

Parlando di amore, non si può non parlare del tema dell’omosessualità. Il film è ambientato durante un arco di tempo che va dagli ultimi anni Venti (periodo in cui Alan Turing era studente) fino ai primi anni Cinquanta (periodo della morte) e, come sappiamo, in quel periodo l’omosessualità era qualcosa di inconcepibile. Non era semplicemente un tabù, qualcosa di cui la gente si vergognava. Era un reato. 

Nella scena in cui Alan guarda Joan ballare con l’amico Hugh, assistiamo a un breve dialogo tra il protagonista e il collega John in cui Alan chiede un consiglio: confessare alla sua neo-fidanzata di essere omosessuale o no? La risposta di John è esattamente ciò che ci si aspetta di sentire in quel periodo, ma lascia comunque basiti gli spettatori del giorno d’oggi. “Non dirlo a nessuno, Alan. È illegale.” sono le parole che John (interpretato da Allen Leech) dice ad Alan. 

Pur sapendo quali fossero le idee dell’epoca, mi viene spontaneo chiedermi: com’è possibile che una cosa del genere possa essere illegale? Sarebbe come dire che è illegale non amare la pizza o il cioccolato. Non si può condannare una persona solo perché ha gusti diversi dai nostri.

Qualcuno penserà che sia ridicolo confrontare i gusti sessuali di un individuo con i gusti alimentari. Io penso che sia ridicolo porsi il problema. Perché l’orientamento sessuale è esattamente come i gusti alimentari: si tratta di preferenze, di cose che ci piacciono oppure no. Cosa c’è di illegale in questo? 

Mi fa arrabbiare il solo pensiero che il mondo abbia avuto tempi in cui l’omosessualità era un reato e mi disgusta l’idea che anche oggi esistano persone che continuano a pensarla così. 

Pensiamo di avere una mentalità aperta su queste cose, ma è davvero così? 

Nel 1952, ad Alan Turing venne offerto di scegliere tra il carcere o la castrazione chimica. Scelse la seconda opzione e questa decisione gli causò una forte depressione che, secondo molti storici, fu il motivo per cui si suicidò nel 1954.

Nel 2015, capita spesso di leggere sui giornali storie di ragazzi e ragazze che hanno scelto di suicidarsi perché erano vittime di bullismo da parte sei coetanei, spesso proprio a causa della loro sessualità. 

Non mi pare che le cose siano poi migliorate molto. 

Ma lo scopo del film non è farci vedere quanto fosse orribile il mondo e farci riflettere su quanto faccia ancora schifo. Lo scopo del film, secondo me, è quello di farci capire come una persona che si è sempre sentita diversa dagli altri, sia in grado di cambiare il corso della storia. È un insegnamento che ognuno di noi dovrebbe conservare gelosamente e tramandarlo agli altri, un po’ come ha fatto lo sceneggiatore Graham Moore la sera in cui ha vinto l’Oscar. Le sue parole “Stay weird, stay different” sono diventate un motto che ha fatto il giro del mondo in pochi secondi e dovrebbe essere così anche per io messaggio che questo film vuole comunicare. 

C’è una frase che nel film viene ripetuta tre volte da tre personaggi diversi (l’amico di infanzia Christopher, Alan e Joan), come a voler sottolineare il concetto chiave del film, ed è con questa frase che voglio chiudere. 

“Sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno immagina.”

Sherlock Holmes: dai romanzi alla televisione 

 

 Quando, nel lontano 1887, Sir Arthur Conan Doyle scrisse il primo romanzo su Sherlock Holmes, sicuramente non pensava che le sue opere avrebbero influenzato così tanto i posteri. 

E invece, dopo più di un secolo, Sherlock Holmes è ancora uno dei personaggi più affascinanti della letteratura.

Personalmente, la mia passione per Sherlock Holmes è iniziata cinque anni fa, quando andai al cinema a vedere il film di Guy Ritchie. Abbastanza normale, mi viene da pensare adesso. Chi non rimarrebbe ammaliata da Robert Downey Jr. nei panni di un investigatore di grande talento? 

Solo qualche anno dopo, però, ho capito che in realtà in quel film c’era ben poco di simile ai romanzi. Anche solo osservando la personalità del protagonista, possiamo renderci conto di quanto sia distante dallo Sherlock dei libri. 

Ma a noi spettatori va bene così. 

Se vogliamo vedere sullo schermo un personaggio che, almeno caratterialmente, sia simile a quello ideato da Arthur Conan Doyle, dobbiamo puntare sulle serie televisive. 

La prima che mi viene in mente (probabilmente perché è anche la prima serie televisiva a cui mi sono appassionata) è Dr. House, serie televisiva americana prodotta dal 2004 al 2012 che ruota intorno alle vicende di Gregory House, un medico che il più delle volte usa metodi poco convenzionali, e della sua equipe di medicina diagnostica. Il dottor House, proprio come Sherlock Holmes, si affida alle sue capacità deduttive per risolvere il caso e salvare la vita del suo paziente; è totalmente indifferente nei confronti dei pazienti così come Holmes lo è nei confronti dei suoi clienti; entrambi sono contrari ad accettare casi che non suscitano in loro abbastanza interesse; il dottor House è dipendente dal Vicodin (un farmaco che allevia il dolore) così come Sherlock Holmes è dipendente dalla cocaina. E non dimentichiamoci che entrambi fanno affidamento su una sola persona, a parte loro stessi: il collega Wilson (nel caso del dottor House) e l’amico Watson (nel caso di Holmes). 

Ma se vogliamo parlare di serie televisive che usano come protagonista Sherlock Holmes, non possiamo dimenticarci di citare la serie britannica Sherlock (con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman) e la serie americana Elementary (con Jonny Lee Miller e Lucy Liu). 

Entrambe usano i personaggi dei romanzi (Holmes, Watson, Lestrade, Irene, Moriarty, ecc…) e aggiungono qualche personaggio nuovo (la dottoressa Molly Hooper in Sherlock e il poliziotto Marcus Bell in Elementary, ad esempio) ed entrambe collocano le vicende al giorno d’oggi, in un mondo in cui internet e la tecnologia digitale in generale velocizzano i tempi e restringono gli spazi. 

Elementary, inoltre, si prende qualche libertà in più: le vicende si svolgono a New York invece che a Londra, Watson è un’assistente post-riabilitazione assunta dal padre di Sherlock per fare in modo che il figlio non cada nuovamente nel tunnel della droga, Irene si rivela essere una spietata assassina e la vera identità di Moriarty lascia il pubblico senza parole (perché vi assicuro che non è chi vi aspettate che sia). 

Tuttavia, le “licenze poetiche” non risultano una forzatura, ma anzi incuriosiscono lo spettatore.

Sherlock è senza dubbio più fedele alle opere originali, sia per ciò che riguarda i personaggi, sia per le vicende trattate. Basta fare un confronto tra il primo episodio della serie e il primo romanzo della saga di Sherlock Holmes: la trama è quasi identica, esclusi pochi dettagli. Addirittura, alcuni stralci di conversazioni tra Sherlock e John sono identici: basta pensare a quando John rimprovera Sherlock per la sua scarsa conoscenza del sistema solare e della teoria copernicana nel romanzo Uno studio in rosso e alla conversazione pressoché identica che troviamo nell’episodio Il grande gioco (terzo episodio della prima stagione). 

Possiamo dire, quindi, che Sherlock è indubbiamente la serie che più si avvicina a ciò che viene trattato nei libri. O almeno, questo è il mio parere. 

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi, se avete opinioni diverse e soprattutto se seguite altre serie televisive che possono essere accomunate a Sherlock Holmes. Lasciatemi un commento qua sotto e ditemi la vostra. 

 

“Glee” significa “gioia”

 

  

 È davvero così. Letteralmente il termine “glee” può essere tradotto con “gioia”. Ma non è solo la traduzione letterale. È anche l’emozione che ha accomunato i fan di questa serie televisiva negli ultimi sei anni. 

L’avventura di Glee inizia nel 2009, più precisamente il 19 maggio, quando l’emittente televisiva americana Fox trasmette l’episodio pilota.

L’inizio è perfettamente in linea con le serie televisive che hanno fatto la storia degli anni ’90 e dei primi anni 2000 (Beverly Hills 90210 e Dawson’s Creek, tanto per citarne un paio): una scuola, un gruppo di studenti totalmente diversi tra loro ma messi alla pari dai loro problemi e dalle loro battaglie personali, la volontà di trattare temi difficili come la disabilità e l’omosessualità, un insegnante che si sente ancora un ragazzino con il sogno di poter cambiare il mondo o, se non il mondo, almeno i suoi studenti. 

È esattamente così che inizia Glee. Un inizio normale, eppure totalmente fuori dagli schemi, proprio come suggerisce il titolo italiano del primo episodio: “Voci fuori dal coro”. 

Chi non ha mai visto una puntata di Glee, si starà domandando in cosa questa serie è diversa dalle altre. 

Ripensate al significato di “glee”. “Gioia”, giusto? E una delle cose che spesso si associa alla gioia è la musica.

Glee ha fatto questo. Ha unito la serialità televisiva e la musica sotto un’unica parola: gioia. Glee, appunto. 

Con questa serie, il musical ha smesso di essere un genere prettamente teatrale o cinematografico e si è trasformato in un genere televisivo, a portata di tutti semplicemente premendo un paio di pulsanti sul telecomando. 

Ma non è tutto oro quello che luccica. Come in ogni serie televisiva, ci sono stati alti e bassi.

Sicuramente, le prime tre stagioni sono state un susseguirsi di successi, alternando i tipici problemi adolescenziali a tematiche più delicate, variando il genere della serie dal comico al drammatico (e talvolta tragico), inserendo qua e là episodi a tema in cui i protagonisti si concentrano su un singolo artista piuttosto che su una più vasta scelta di brani.

Dalla quarta stagione, c’è stato un calo, probabilmente a causa del rinnovamento del cast e dello sdoppiamento delle vicende: la storia non si sviluppa più solo tra le mura del liceo McKinley di Lima, ma si sposta anche a New York per seguire le storie dei membri originali del Glee Club. 

La serie ha nuovamente una battuta di arresto nel 2013, quando l’attore Cory Monteith muore di overdose. Il pubblico, il cast e la troupe sono devastati dalla notizia e la storyline (che prevedeva un’ultima stagione incentrata proprio su Finn – alias Cory Monteith – e Rachel) viene stravolta. Così si arriva a una sesta stagione composta da soli 13 episodi, con la ricomparsa di qualche personaggio e la presentazione di personaggi nuovi. Ed è proprio su questa stagione che devo fare qualche critica. 

Partiamo proprio dai personaggi. Ci sono ben 7 (spero di aver contato bene) nuovi personaggi, ognuno con una storia e dei problemi che però non vengono affrontati. È come se questi poveri ragazzi fossero un capro espiatorio, una specie di stratagemma letterario per tenere in piedi le vicende di Rachel, Kurt, Blaine e chiunque altro abbia avuto un minimo di importanza in questa stagione. 

Sempre restando sui personaggi, vi ricordate Marley, Jake e Ryder? Ok, bene. Che fine hanno fatto? Non si sa! Sono spariti nel nulla e nessuno sa che fine abbiano fatto. 

E ora, passiamo alle vicende vere e proprie. In una puntata, assistiamo al matrimonio di Santana e Brittany. È tutto molto romantico, perfetto… addirittura, le due ragazze decidono di dividere l’altare con Kurt e Blaine e così assistiamo a un doppio matrimonio. Ma c’è una cosa che stona: dov’è Quinn? Dovrebbe essere la migliore amica di Santana e Brittany, la terza del trio, eppure non c’è. Perdonate la mia visione forse un po’ eccessivamente sentimentale, ma non esiste che una ragazza si sposi senza avere accanto la sua migliore amica! 

E poi parliamo di Rachel. Lei è sempre stata la vera protagonista, anche quando si cercava di lasciare spazio alle altre vicende. E, ovviamente, è stato così anche in quest’ultima stagione. Rachel finalmente riesce a superare la morte di Finn. Sappiamo che è stato un percorso difficile e quindi siamo tutti molto felici per lei. Siamo felici soprattutto quando la vediamo avvicinarsi a Sam, perché significa che è davvero riuscita ad andare avanti. Assistiamo a una serie di baci, sembra che nasca una relazione e poi… boom, finisce tutto. E senza una parola! Ci rendiamo conto che tra loro non c’è più niente perché vediamo Rachel baciare Jesse. Ora, scusate ma se una cosa del genere accadesse nel mondo reale, la Rachel della situazione si prenderebbe una serie di insulti infinita. Non esiste che prima baci uno e poi baci un altro senza dire manco una parola al primo ragazzo. 

Eppure, nonostante tutto questo, i due episodi finali sono stati perfetti e, sicuramente, il tributo a Cory Monteith (prima con la performance di Don’t Stop Believing e poi con il fermo immagine sulla sua targa commemorativa) ha fatto versare qualche lacrima ai fan. 

La verità è che per quanto si possa essere in contrasto con le scelte degli autori, questa serie ha segnato un punto di svolta nella televisione e non solo. Ha segnato un punto di svolta nella vita di ogni spettatore. 

Con Glee abbiamo riso, abbiamo pianto, ci siamo arrabbiati, ma soprattutto abbiamo cantato e sappiamo che un’esperienza simile non ci capiterà mai più. Nessun altro telefilm sarà in grado di eguagliare questo fenomeno e, per questo, mi sembra corretto concludere dicendo una sola frase che può riassumere tutto quello che ho scritto fino a adesso: la fine di Glee segna la fine di un’era.